PROPOSTA AL MINISTERO SALUTE RELATIVAMENTE AL PROBLEMA BALBUZIE

Proposta al ministero

Descrizione ed analisi del problema balbuzie:

La balbuzie interessa circa il 1-2% della popolazione, con incidenza maggiore nel sesso maschile, su dieci casi di balbuzie, otto sono sicuramente di sesso maschile, interessando persone di ogni estrazione sociale e in ogni parte del mondo. Già questo aspetto potrebbe essere un importante motivo di ricerca nel cercare di dimostrare la valenza socio-relazionale del disturbo o, eventuali implicazioni di diverso ordine.

Il balbuziente sa quello che vuole verbalizzare ma non riesce ad esprimerlo, non c’è sinergia tra pensiero e parola. Nella maggior parte dei soggetti balbuzienti, per dei motivi estremamente variabili, esiste una disorganizzazione tra il pensiero ed il linguaggio. Troppo tempo passa tra ciò che c’è da dire e la possibilità di dirlo. Secondo il noto studioso spagnolo De Ajuriaguerra, la balbuzie è un disturbo di realizzazione della lingua parlata nell’ambito della relazione interpersonale.

Le teorie relative all’eziologia della balbuzie sono divergenti secondo i paesi e secondo le scuole di pensiero, invece tutti concordano nel riconoscere a questo disturbo due diverse forme:
1. FORMA CLONICA,
la cui caratteristica è la ripetizione di una sillaba o di una lettera.
2. FORMA TONICA ,
che presenta un aspetto spasmodico della parola, con dei blocchi più o meno gravi sia nell’iniziare che nel corso del discorso e che a volte può essere accompagnata anche da sincìnesie, ovvero movimenti involontari della mimica facciale in funzione di compensazione per il vuoto verbale che si viene a creare.
Esiste poi una terza forma di balbuzie, che comprende entrambe le due forme sopra citate e che viene chiamata: FORMA MISTA.   

Si incomincia a parlare di balbuzie vera e propria non prima dei 5 o 6 anni, una leggera forma in età inferiore, può essere quella che viene chiamata FORMA TRANSITORIA  ed è in rapporto ad una fisiologica evoluzione della normale acquisizione linguistica.
In effetti, si può fare diagnosi precisa di balbuzie solo quando il meccanismo si è ormai consolidato nel modo e nel tipo di comunicazione del bambino, cioè quando si è: CRONICIZZATO.

Consiste in un insieme di alterazioni del ritmo e della fluidità dell’espressione verbale e viene vissuto da chi ne è affetto con grande sofferenza e disagio, perché il rallentamento nel parlare non riguarda assolutamente il pensiero; il soggetto sa benissimo ciò che desidera dire, ma fatica a dirlo.

Un’altra definizione più utilizzata in campo diagnostico psicologico è quella che definisce tale disordine come un disturbo multifattoriale della personalità con rilevanti componenti psicologiche e ambientali. Ma è il Dott. Antonio Bitetti a dare un ulteriore contributo alla ricerca, attraverso l’introduzione del fattore controllo sulla fonazione, quale elemento centrale del problema balbuzie. Un meccanismo che scatta per frenare una sottostante energia aggressiva che il balbuziente ha difficoltà a gestire in maniera adeguata. Un aspetto frenante che va a compromettere la giusta capacità relazionale del soggetto balbuziente.

Soluzioni ed interventi proposti sulla base delle evidenze scientifiche:

Attualmente, vi è una sostanziale contraddizione nell’offerta terapeutica riguardante la balbuzie. Difatti, tutte le tecniche fonatorie e rieducative del linguaggio, così massicciamente proposte, partono dal presupposto che questo disturbo sia di linguaggio. Ma in sostanza non è così, poichè come è stato già descritto, il balbuziente nel chiuso della propria stanza, non sottoposto a giudizio altrui, non balbetta mai. E’ evidente quindi che il balbuziente in cuor suo, sa di parlare bene, ma sa anche e vorrebbe spiegarlo a tutti, che il suo vero problema, è solo di relazione.

Già nel 1999, il Dott. Bitetti affermò questo concetto in un importante congresso di Foniatria e di Logopedia e nel 2000 ebbe a confrontarsi con il Prof.Yairi dell’Università di Chicago, il quale sosteneva la probabile origine genetica di tale problema. Il Prof. Bitetti, invece, sottolineava e tuttora sostiene la necessità di virare la ricerca su ben altri aspetti, poiché è ormai risaputo che il balbuziente parla benissimo, non ha bisogno di rieducazioni fonatorie, poiché il suo vero problema e lo sa riconoscere da solo, è il sofferto impatto con gli altri esseri umani, così come accade per il timido.

La sola differenza tra il timido ed il balbuziente è data dal fatto importante che il balbuziente esercita un potente meccanismo di controllo sulla sua bocca, tendente a frenare quella energia a matrice aggressiva, necessaria per competere normalmente con i propri simili. La balbuzie poggia su tre aspetti fondamentali: una idea  autosvalutativa di fondo, una proiezione sugli altri dello stesso tipo di giudizio negativo ed infine, quell’elemento di controllo, come aspetto finale, nel tentativo irrazionale di poter gestire l’intera situazione durante il sofferto impatto relazionale.

Partendo da queste riflessioni, nel 1997, il Dott.. Antonio Bitetti ha fondato con risorse proprie, l’Istituto Europeo per la Balbuzie e la Psicologia della Comunicazione. Nel 2010 è diventato editore, nell’intento di dare una svolta  nella divulgazione di concetti più evoluti e di  proporre una terapia innovativa, frutto delle sue intuizioni personali, dopo aver superato brillantemente la propria balbuzie con una esperienza di gruppo-analisi su suggerimento dell’Illustre Prof. Leonardo Ancona, allora Direttore della Cattedra di Psichiatria  dell’Università Cattolica di Roma e dopo ricerche di tipo cognitivo-comportamentale, condotte con il compianto Prof. Cesare De Silvestri, pioniere in Italia di questo importante filone di ricerca psicologica.

Sostenendo la matrice eminentemente relazionale di questo diffuso disturbo, è importante evidenziare un altro aspetto rilevante di tutta questa dinamica e cioè, che il balbuziente è condizionato anche dal feedback generato dall’ascolto del suo balbettare. Infatti, una importante ricerca dell’Università di Edimburgo ha prodotto negli anni’80 uno strumento tecnologico che permetteva di annullare, attraverso un cicalino, emesso durante  l’emissione, l’ascolto della propria voce (Edinburgh Masker). Questa ulteriore prova conduce inevitabilmente al fatto che il balbuziente è fortemente condizionato nella sua prestazione verbale, perché tende a subire la relazione umana, anziché gestirla in maniera propositiva e produttiva.

Tutto il dinamismo del balbettare si traduce in un dispendio imponente di risorse potenziali, di mancate affermazioni personali e che vanno a ripercuotersi sul dinamismo generale e soprattutto sociale. A volte si sottovalutano le tante risorse umane sprecate attraverso inutili e sterili atteggiamenti, ma non dovremmo continuare a chiudere gli occhi di fronte a tale annichilimento. La salute di un popolo è alla base della sua realizzazione e affermazione, poiché tutti concorrono a tale progetto. A questo intento è chiamato anche il balbuziente e non può più nascondersi dietro questo sintomo.

Fattibilità/criticità delle soluzioni e degli interventi proposti

Fermo restando che il progetto “ Approccio Integrato” è un modello ormai collaudato da circa venti anni, su scala nazionale ed internazionale e di cui hanno usufruito diverse migliaia di pazienti, di ogni fascia di età. L’idea di fondo è quella di renderlo ancora più fruibile, soprattutto da quella parte di popolazione, ormai la maggioranza, che fa fatica a trovare le risorse disponibili per accedervi.

Sul piano scientifico e dei risultati, questo approccio è di sicuro il più avanzato presente sul mercato nazionale poiché affronta la balbuzie a 360°. Difatti, l’intento del progetto riguarda anche la misurabilità data dal confronto tra il nostro modello terapeutico e le tecniche rieducative proposte dal SSN o da altre strutture similari presenti sul territorio italiano.

L’ideale sarebbe quello di creare una commissione scientifica e valutare le performance dell”Approccio Integrato” con tutte le altre metodologie e definire quella più efficace a ottenere risultati ottimali e duraturi. Per fare ciò è necessario attingere a risorse finanziarie che allo stato attuale delle cose, è difficile da ottenere ed anche perché vincere un bando di concorso ministeriale aumenterebbe sensibilmente la caratura ed il valore scientifico del lavoro del Dott. Bitetti, il quale da parte sua ha già dimostrato ampiamente le basi su cui poggia il proprio lavoro di ricerca e di cura della balbuzie.

La fattibilità è data soprattutto dai tantissimi pazienti che chiedono informazioni al libero mercato, riconoscendo una cronica carenza ed una latitanza delle istituzioni pubbliche nel dare risposte concrete ed efficace a chi soffre di questo disturbo della comunicazione, come già ampiamente descritto nelle pagine precedenti. Ed infine, e non di minore importanza, le continue richieste che arrivano a noi, da parte di addetti ai lavori che vorrebbero formarsi ad una cultura avanzata nell’approccio di cura della balbuzie. I tempi sono oramai maturi per un cambiamento nella impostazione di cura e da più parti si è pronti a recepire l’innovazione ed il cambio di passo, passando da una impostazione semplicemente rieducativa, ad una impostazione olistica, che tiene conto del sintomo, ma non trascura tutti quei fattori, interni ed esterni del problema.

Criticità

La criticità è rappresentata soprattutto dal fattore culturale. Dopo diversi decenni di cultura rieducativa, il mondo sanitario, a vari livelli, indirizza i pazienti affetti da balbuzie verso soluzioni terapeutiche rieducative o riabilitative, trascurando i tanti aspetti sopraelencati.

Si è strutturata nel tempo, una cultura e in maniera stereotipata, la si ritiene la più adatta, semplicemente perché storicamente è quella proposta dalla sanità pubblica. In tutti questi anni non si è mai fatta ricerca seria e questo ha facilitato anche il pullulare di risposte di cura tra le più strane e disparate, basterebbe dare una occhiata su internet, a tutto svantaggio della qualità e dell’efficacia del servizio offerto.

Vi è la necessità di un cambiamento culturale e metodologico, ma questo richiede proposte e soprattutto, una formazione che spinga ad una visione moderna del problema. Ma come tutti sappiamo non è facile adattarsi ad un nuovo modello, soprattutto se non è supportato da evidenze statistiche e di risultati. Ecco la necessità di una sperimentazione capillare che coinvolga le strutture già presenti sul territorio, ma che abbiano a cuore l’interesse della popolazione bisognosa di cure, le migliori presenti sul territorio.

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